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Il sole cominciava lentamente a sparire dietro alle montagne alte ed innevate, che ora costeggiavano il sentiero, lasciando così il posto alla notte, che di lì a poco sarebbe arrivata.

Lenticchia aveva decisamente bisogno di trovare un luogo caldo ed accogliente, dove poter riposare, in attesa del giorno successivo.

Camminò ancora per qualche minuto, fin quando notò in lontananza quello che aveva tutta l’aria di essere un vero e proprio castello, di quelli che si vedono nelle favole. Luoghi incantati, ricchi di personaggi bizzarri e simpatici.

“Bene” pensò Lenticchia “farò quest’ultimo sforzo, anche se sono un pochino stanco e proverò  a raggiungere quel castello, chiedendo ai suoi abitanti se posso passare la notte lì”.

Con le ultime forze che aveva, Lenticchia raggiunse finalmente la porta principale del castello. Da lontano gli era sembrato un pochino più piccolo; in verità il castello era enorme. A guardarlo da fuori avrà avuto duecento, trecento stanze. Era alto almeno cinque piani e sulla destra aveva una torre ancor più alta.

“E’ proprio come nelle favole!” pensò Lenticchia.

Si avvicinò così alla porta principale, bussò una volta, bussò una seconda e poi anche una terza volta, ma nessuno rispose, né aprì.

Lenticchia, ormai stanco di aspettare, fece una piccola pressione sulla maniglia della porta e in un batter di ciglia, si aprì.

Si spalancò davanti a Lenticchia uno spettacolo mai visto prima. La stanza principale era davvero enorme. Il pavimento di legno era ricoperto nella parte centrale da un tappeto rosso a forma di rettangolo, su cui poggiava un tavolino enorme, strapieno di cibo. c’erano tutti i piatti preferiti di Lenticchia. Dalla zuppa di fagioli, ai bastoncini di pesce, per non parlare poi della torta al cioccolato, che adorava particolarmente. Intorno al tavolo c’erano una, due, tre, quattro, cinque, sei sette otto nove dieci undici e ben dodici sedie. Dietro al tavolo, sulla parete di destra, c’era poi un camino acceso, che scoppiettava, davanti al quale Lenticchia andò subito, per scaldarsi un pochino le mani.

Notò poi una scala che portava al piano superiore.

Incuriosito, prese una piccola lanterna che era sul tavolo, e cominciò a salire.

“C’è nessuno…?” continuò a ripetere per un tempo indefinito, in attesa che qualcuno rispondesse.

Gli sembrava strano che il castello fosse disabitato, dal momento che aveva invece l’aria di essere molto pulito e curato, per non parlare poi della tavola imbandita.

Raggiunse il primo piano e da dietro ad una porta udì dei passi. Lentamente ed un po’ intimorito, si avvicinò. Bussò dapprima delicatamente, poi con sempre più forza, fin quando la porta si aprì.

“Ciao Lenticchia, ti stavo aspettando. C’hai messo davvero tanto tempo ad arrivare. Avevo quasi perso la speranza …”

“Ciao” rispose Lenticchia “io in verità non sapevo che mi stessi aspettando, anzi, a dire il vero non so neanche chi sei..”

“Beh, diciamo che lo hai dimenticato, ma questo può succedere, diventando grandi, tante cose si dimenticano. Per fortuna io ricordo tutto ed è per questo che ti stavo aspettando, perché quando sei andato via mi hai promesso che saresti tornato e sapevo che lo avresti fatto”.

“Andato via? Io?” Lenticchia non ricordava davvero niente. Non ricordava di essere mai stato prima in quel castello, né tanto meno di conoscere quella dolce ragazzina.

Il suo nome era Rachele. Rachele era una bambina davvero carina. La sua pelle era di un colore così particolare, che somigliava alla porcellana, talmente chiara e delicata che al mare doveva mettere tonnellate di crema protettiva, altrimenti si scottava. Aveva capelli biondi, lunghi fino alle spalle. ed occhi verdi come gli smeraldi. Era esile Rachele. Sembrava una bambolina.

La dolce bambina guardò Lenticchia negli occhi ed accennò un sorriso.

Lenticchia divenne rosso in volto e abbassò lo sguardo per qualche istante.

“Come ti dicevo mio caro amico Lenticchia, sono davvero felice che tu sia tornato qua da me. Come hai visto, ti ho preparato tantissime cose buone da mangiare. Se ti va potremmo scendere di sotto, mangiare qualcosa e poi potremmo andare a giocare insieme”.

Lenticchia, che aveva davvero tanta tanta fame, non se lo fece ripetere due volte. Insieme i due ragazzini scesero al piano di sotto e si misero a tavola a mangiare.

Gustarono tutto, proprio tutto, tanto che in poco tempo non rimase più niente.

Mangiarono e bevvero anche il succo di mirtillo che era quello preferito di Lenticchia, poi, con la pancia piena, decisero di alzarsi e di andare a giocare.

Lenticchia chiese a Rachele di mostrargli la stanza più bella di tutto il castello.

Rachele non ci pensò su due volte. Afferrò la mano di Lenticchia e i due corsero veloci veloci lungo la scala principale. Giunti al primo piano, presero la scala di destra che era decisamente più piccina e ripida di quella di sinistra. “Chissà dove porterà” pensò Lenticchia, senza però chiedere nulla alla sua amica. Sentiva di potersi fidare e forse ora cominciava anche a ricordare.

I due correvano a perdi fiato lungo le scale. Su, sempre più su, quasi come se stessero arrivando in cielo, e più o meno era così. Raggiunsero infatti il punto più alto del castello.

La scala finiva dritta dritta dentro ad una stanza tonda e piena di finestre. Da là la vista era davvero spettacolare. quella stanza dominava sull’intero bosco. Da lì si poteva vedere lontano chilometri, in tutte le direzioni.

“Guarda Lenticchia” Rachele alzò lo sguardo al cielo.

“Che meraviglia!” Esclamò Lenticchia. Il cielo era scuro scuro e pieno zeppo di stelle. Era uno spettacolo al quale non aveva mai assistito prima. Non si era mai accorto di quanto fosse bello il cielo di sera. Sì, lo aveva guardato tante volte, ma quella sera aveva qualcosa di speciale. Sarà che guardarlo con Rachele rendeva tutto ancor più magico e travolgente, questo non lo sapeva con esattezza, ciò che contava era la meraviglia alla quale stava assistendo. Si sentiva felice Lenticchia. Anche se era lontano da casa sua, o almeno questo pensava, lui lì, con Rachele si sentiva bene.

Restarono in silenzio, ad osservare le meraviglie dell’Universo, per un tempo indefinito, per poi dolcemente chiudere gli occhi.

S. Stelle. Son puntini luminosi, grandi piccoli e curiosi. Sembran occhi di bambini che ti guardan birichini.