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Era stata una giornata davvero elettrizzante e piena di nuove esperienze. Lenticchia se ne stava lì, un po’ in disparte, mentre la signora Celeste sistemava le ultime cose, prima di chiudere la piccola bottega.

Aveva l’aria un po’ triste Lenticchia, e così Celeste, che si era resa conto che qualcosa nel suo amico non andava, gli si avvicinò.

“Cos’hai Lenticchia, cosa c’è che non va?”

Lo sguardo di Lenticchia incrociò quello di Celeste. Si mise seduto sulla sedia che stava proprio là, accanto alla grande vetrata che affacciava sulla piazza principale e con gli occhi persi nel vuoto, disse: “Sai Celeste, io vorrei tanto ritornare a casa. Vorrei riabbracciare la mia mamma e giocare al parco con i miei compagni di scuola e fare tutto quello che facevo prima… Sono triste, mi sento solo. Nonostante in questo viaggio io stia incontrando tanti nuovi amici, sento come se qualcosa manchi sempre, sento un vuoto”.

Celeste accennò un dolce sorriso e con fare amorevole disse: “Vedi Lenticchia, e se quel vuoto di cui mi parli non fosse solo la mancanza che senti della tua mamma e dei tuoi amici? Se quel vuoto fosse qualcosa d’altro…qualcosa che stai cercando fuori di te, ma che in realtà è già lì, nel tuo cuore?”

Lenticchia non rispose nulla. In un attimo ricordò le parole del grosso grasso gufo dagli occhioni enormi, e per un attimo gli sembrò anche di averlo rivisto nello sguardo di Celeste. Avevano qualcosa in comune quei due. Di certo, entrambi gli stavano ricordando di ascoltare il suo cuore.

Celeste si allontanò per qualche minuto, per poi tornare nella stanza. Aveva con se qualcosa che teneva stretta nella mano destra.

“Prendi questa, piccolo Lenticchia. Questa carta ti sarà utile durante il viaggio che stai affrontando per tornare a casa”.

“Ma cos’è Celeste? Cosa significa?”

La carta era tutta bianca, su entrambi i lati, e niente, proprio niente era disegnato o scritto lì sopra.

“Vedi Lenticchia, questa è una carta davvero speciale. Se lungo la strada ti servirà aiuto, tirala fuori senza esitare, osservala bene, poi chiudi gli occhi e immagina ciò di cui avrai più bisogno in quel momento”.

Quella carta era un Jolly.

J: Jolly. Se mi peschi lì tu vedrai, che insieme riusciremo in tutto ciò che vorrai.

Lenticchia ora era davvero pronto per riprendere il suo viaggio. Zainetto in spalla, salutò la sua amica. I due si strinsero in un abbraccio affettuoso. Celeste diede un bacio al piccolo Lenticchia, sulla fronte e lo lasciò andare.

D’un tratto un rumore… qualcuno bussò alla porta della piccola bottega.

K: Knock Knock. Bussa bussa alla tua porta, vai ad aprire è il Sor Pagnotta.

Apparve davanti a Lenticchia un uomo piuttosto bassotto di mezz’età, con baffi lunghissimi e arricciati in punta che donavano al suo volto un’aria così familiare e piacevole. Il Sor Pagnotta era il marito di Celeste. Era stata proprio lei ad avvisarlo che Lenticchia era finalmente arrivato al villaggio e che ora, dopo aver fatto le sue esperienze lì, aveva bisogno di proseguire il suo viaggio. Così il Sor Pagnotta propose a Lenticchia di accettare un passaggio in carrozza. Lo avrebbe accompagnato dove aveva bisogno di andare, anche se Lenticchia non sapeva ancora bene quale fosse la direzione giusta. Lui sapeva solo che voleva tornare a “casa”.

Il Sor Pagnotta, rassicurandolo, lo fece salire sulla sua carrozza. “Non preoccuparti Lenticchia, guarderemo il cielo stellato, e sarà lui a guidarci”.