Se i miei calcoli sono precisi, una settimana fa terminava la mia quarantena, durata esattamente ventisei giorni.

I giorni della mia “reclusione” sono stati intensi, talmente carichi di emozioni contrastanti, pensieri e immagini, che quasi quasi mi è sembrato di vivere una vita nella vita, come se fosse stata un’esistenza a sé stante, incastrata in quella che sto conducendo ora…praticamente, na caciara.

Ho pianto parecchio in quei giorni. Mi commuovevo guardando mio figlio giocare. Mi disperavo pensando al mondo “fuori” e a me intrappolata là, che sì, è vero, potevo sfogarmi in giardino, correndo, prendendo il sole, respirando l’aria pulita di campagna, soffiando i semini dei denti di leone insieme a Gabriele, ma mi sentivo incompleta. Piangevo perché mancava qualcosa, perché quella smania che spesso è mia compagna di viaggio, si faceva sentire più del solito e più di ogni altra volta è stata lì con me, a tenermi la mano.

Nei giorni di quarantena, ho imparato cosa significa “attendere”, o quanto meno c’ho provato. L’ho imparato ogni volta che il referto del tampone diceva che ero ancora “positiva”. E così, ho capito che c’è un tempo per tutto.

C’è un tempo per correre dietro a mille impegni, per incastrare ogni singolo frammento che compone una giornata ordinaria, c’è un tempo per arrivare la sera cotta come una zucchina, al punto che ti addormenti prima tu, che tuo figlio di tre anni. E poi c’è il tempo in cui il tempo non esiste più, in cui la fretta non sai manco più cosa sia, in cui il lavoro è solo un lontano ricordo…un tempo in cui ti riscopri e senti quasi di rinascere per una seconda volta.

E così ti ritrovi a godere della luce di uno spettacolare tramonto, oppure a sognare ad occhi aperti quando alle quattro di mattina gli uccellini ti stanno già dando il Buongiorno e ti chiedi “Ma dov’era tutto questo, prima? Dov’ero io?”

Io mi affannavo. Vivevo col fiato corto e non me ne rendevo conto, rincorrevo qualcosa che fuori non trovavo: un sogno, un progetto di vita, un nuovo lavoro. Non c’è nulla fuori, che non sia già dentro di te…il patto è sapere dove si vuole andare, avere le idee chiare, immaginare e sentire nelle vene ciò che si vuole raggiungere, perché è solo allora che i sogni si materializzano e che i nostri occhi tornano a brillare.

Ma questo lo sto capendo ora, dopo una settimana dalla fine della mia quarantena.

Il primo giorno di libertà è stato fichissimo, sono andata dall’estetista per darmi una sistemata, che detto fra noi, dopo un mese di reclusione, ne avevo davvero bisogno; sono andata al supermercato a fare la spesa e mi sono accorta che mi era mancato tantissimo girovagare fra gli scaffali in cerca dell’ennesima cosa inutile da comprare; ma più di ogni altra cosa, è stato emozionante tornare a casa mia con mio figlio. Eh già, perché la quarantena l’abbiamo passata dai nonni.

E’ stato meraviglioso vedere gli occhi di Gabriele riempirsi di gioia quando ha ritrovato tutti i suoi giochi esattamente dove li aveva lasciati…era su di giri e lo ero anch’io, finalmente avevamo ritrovato il nostro equilibrio, il nostro piccolo nido.

Ammetto che tornare alla vita “fuori” , riprendere il lavoro, le cose lasciate in sospeso e le “conversazioni” interrotte a metà, è stato pure come prendere una porta in faccia e cadere a terra senza riuscire a rialzarsi.

Io, che avevo progettato di lasciare il lavoro, di fare casino e di mandare tutti a quel paese, ero tornata in ufficio, alla mia solita scrivania e a fare quello che facevo prima. Io, che per ventisei giorni non avevo più preso la macchina, mi sono ritrovata imbottigliata nel traffico infernale di Roma, senza avere scampo; ma soprattutto, io che credevo di trovare situazioni / persone cambiate ad aspettarmi, mi sono accorta che non era esattamente così.

Lo ammetto, alla luce di quanto sopra, ho seriamente pensato che era meglio quando stavo rinchiusa e vivevo in un non tempo, lontano da tutto e da tutti, per trascorrere così le mie giornate in un piccolo Eden (recinto) e stare nella mia zona di comfort, senza prendermi rischi o mettere il cuore in gioco.

Ma visto che credo seriamente che nulla accade per caso, mi sono detta “ecco la tua chance, ecco la possibilità che la vita ti sta dando” e allora non penso che le situazioni o le persone cambino, queste ultime poi decisamente no, perché ognuno è unico e speciale e irripetibile così com’è, ma sono fermamente convinta che possiamo farlo noi, che posso farlo io.

Posso andare in ufficio con uno spirito diverso, ringraziando il Cielo per avercelo ancora un lavoro e mostrando gratitudine per tutto ciò che fino ad oggi ho imparato, e in futuro, chissà dove approderò…

Posso smetterla di voler cambiare le situazioni, ricordando solo ciò che il mio cuore ripete di continuo, quando rivolgendosi a Anima, le sorride senza volerle mettere catene, per godere appieno della sua illimitata bellezza.